
La Smart Grid del freddo
I magazzini a -25° di Orogel sono il cuore di una rete produttiva che va dal campo alla tavola dei consumatori. Flessibilità e sostenibilità sono le parole d’ordine di un sistema che deve innovare continuamente anche per gestire i cambiamenti climatici.
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A seguito delle alluvioni e delle inondazioni in Emilia Romagna, alcuni archivi storici hanno riportato gravi danni. Così, su richiesta del Ministero della Cultura e delle Soprintendenze, Orogel ha messo a disposizione i suoi magazzini a -25° per evitare che preziosi materiali documentari, risalenti al XVI e XVII secolo, venissero attaccati e distrutti dai funghi, che avrebbero potuto facilmente attaccare la carta, il cuoio e la pergamena.
Un’operazione di intelligente solidarietà che incuriosisce e mette in luce l’infrastruttura e le competenze di un’importante realtà italiana, che vede nei magazzini un asset strategico primario. Come INTRALOGISTICA ITALIA non potevamo perdere questa opportunità di parlarne, dal momento che la catena del freddo, con le sue ricadute in termini di sostenibilità, tecnologia e innovazione sarà uno dei pillar della prossima edizione a maggio 2025.
Il grande freddo
«Il problema dello stoccaggio nella nostra filiera è strategico e importante – spiega Valter Zino, Direttore Impianti e Tecnologie di Orogel, che ci accompagna in un tour virtuale alla scoperta del sistema magazzino del primo produttore italiano di vegetali surgelati – ed è caratterizzato dal fatto che abbiamo l’obbligo di operare normalmente a temperature che vanno dai -22° ai -25°».
E per dare un’idea di quanto sia radicata l’idea di lavorare in questo senso racconta: «L’automazione nello stoccaggio, in questa azienda, nasce nel 1987; da allora nello stabilimento di Cesena siamo arrivati al 5° magazzino automatizzato, mentre a gennaio abbiamo iniziato il cantiere per lo stabilimento in Basilicata.
L’azienda ha sempre creduto nello strumento dell’automazione per migliorare l’efficienza e ridurre i costi anche perché il lavorare nella catena del freddo spinge a programmare i processi, lavorare sempre con tempi prevedibili e sicuri e a ottimizzare tutti i movimenti del prodotto anche all’interno dello stabilimento.»

D’altronde, i costi unitari molto elevati della gestione delle basse temperature fanno dell’automazione una scelta quasi obbligata. Ci sono, però, anche altri fattori che spingono in quella direzione: le norme di sicurezza e le dimensioni delle celle. Le prime prevedono che gli operatori non possano lavorare a temperature così basse per tempi prolungati, le seconde invece, sono ormai così ampie, volendo massimizzare la densità di stoccaggio, da rendere impensabile il movimento manuale.
Numeri da capogiro
Orogel surgela circa 100mila tonnellate all’anno di prodotto. L’ultima cella che è stata costruita misura circa 120 metri x 65 ed è alta 30 metri, per un totale di circa 230mila metri cubi; all’interno si possono stoccare 400mila quintali di prodotto e in azienda ce ne sono altre cinque come questa. A seconda del prodotto che conservano ruotano da 1 a 3 volte l’anno, mentre in termini di confezione ruotano 5-6 volte dal momento che sono serviti più marchi.
In ogni caso, nonostante le dimensioni faraoniche delle infrastrutture e della quantità di merce gestita: «non bisogna pensare a tecnologie fantascientifiche, – continua Zino – all’interno delle nostre celle utilizziamo, infatti, trasloelevatori comuni; a fare la differenza è la filosofia dell’intervento. Dovendo scegliere se puntare più sulla velocità delle operazioni o sulla densità di stoccaggio abbiamo privilegiato quest’ultima.

Veduta esterna di uno degli stabilimenti di stoccaggio Orogel.
La scelta era tra trasloelevatori lineari o in grado di lavorare su più livelli in contemporanea. Quindi tra una tipologia di scaffalatura con accesso più diretto al prodotto che vuole selezionare, oppure prediligere la densità e quindi scaffali con multi profondità. Abbiamo optato per questa soluzione, utilizzando tecnologie shuttle all’interno di un canale con la possibilità di stoccare molto più prodotto, con una logica LIFO (Last In First Out – che indica una metodologia organizzativa che presuppone di usare per primi gli ultimi prodotti inseriti negli scaffali in magazzino).
La scelta è caduta sulla possibilità di stoccare più prodotto a discapito della velocità e quindi della possibilità di scegliere in modo diretto il pallet da prendere. Non avendo un picking immediato diretto, dobbiamo organizzarci al meglio sapendo che dovremo prevedere degli spostamenti.»

La scelta dell’azienda è stata quella di preferire sistemi logistici in grado di occupare al meglio gli spazi piuttosto che dare velocità al sistema. Quest’ultima viene recuperata con i software che rendono l’impianto “intelligente”.
Velocità contro densità
Se uno scaffale ha una sola profondità, tutti i pallet sono direttamente prendibili, visibili e accessibili: questo vuol dire avere una flessibilità totale e poter scegliere in qualsiasi momento di prelevare in tempo reale ciò di cui si necessita. Per contro, se lo scaffale è multi-profondità posso stoccare 10-12 pallet, ho il massimo dell’efficienza sul prodotto stoccato, ma se fossi nell’obbligo di prendere il 12° pallet, il primo entrato, dovrei spostarne 11. Quindi in generale è un sistema più lento, oppure serve più organizzazione per gestirlo, che è quanto accade in Orogel.
«È il software a ridurre il nostro gap in termini di velocità. Per questo lavoriamo in termini di previsione di utilizzo e di programmazione dei flussi di alimentazione per il confezionamento, il che richiede grande organizzazione e importanti investimenti in termini di handling e sorter che ci permettono di preparare in anticipo quelli che sono le sequenze di automezzi che vogliamo caricare».
Quindi si preferisce densità di stoccaggio per questioni di costo e si recupera velocità con digitalizzazione e automazione.
L'asset della flessibilità
L’altro asse su cui lavorare è quello della flessibilità. Per capire di cosa si tratta bisogna guardare a tutto il processo produttivo nel suo insieme.
L’azienda controlla la filiera, dalla coltivazione fino alla distribuzione sul mercato. Il prodotto arriva in azienda dalle campagne, viene lavato, selezionato e immediatamente surgelato. Ed è considerato un semilavorato dal momento in cui le singole verdure sono trattate singolarmente.
Tornando al processo, il semilavorato viene stoccato nelle celle dove può stazionare anche per un lungo periodo (basta pensare che in 2 mesi si surgelano i piselli che poi saranno utilizzati per tutto l’anno).
In funzione della domanda, il semilavorato dev’essere prelevato per andare direttamente in confezionamento o destinarlo a seconde lavorazioni per fare miscele o zuppe e poi essere confezionato. In questo caso lo stoccaggio è fondamentale funzionando da polmone tra i tempi e i ritmi della campagna e della surgelazione e i tempi e i ritmi della domanda, ognuno con le proprie stagionalità.

Nella catena del freddo, con celle che raggiungono i -25°, l’automazione serve a proteggere i lavoratori ed abbattere i costi.
Per questo le celle ad alta densità devono essere anche molto flessibili in tutti i sensi, perché movimentano prodotti diversi su unità di carico con geometrie, dimensioni e pesi diversi. Dal punto di vista informatico vuol dire avere una macchina (e banalmente un sistema meccanico) che nella sua routine quotidiana sia in grado di gestire euro pallet, pallet su pedana inglese o americana, contenitori in cartone di vario tipo, a seconda del vegetale.
Da qui una definizione originale di flessibilità: avere una macchina che abbia quel grado di intelligenza utile a riempire al massimo un certo volume senza vincoli.
L'intelligenza del sistema
«Detto questo in uscita puntiamo molto su programmazione e sulla capacità di stoccare il prodotto con criteri facilmente gestibili. Progettiamo celle omogenee perché, se è vero che in ogni cella introduciamo dei pallet di prodotti completamente diversi tra loro, è vero che dobbiamo ridurre gli spostamenti inutili. Quindi i nostri ipotetici 12 slot dovrebbero essere uguali tra loro. In questo modo non sarebbe necessario (almeno in un primo tempo) spostare la merce per prendere quella “più in fondo”».
La parte informatica organizzativa è sempre più complessa da gestire, perché i cambiamenti climatici influiscono molto sui raccolti e sulle conseguenti campagne di surgelazione. Bisogna prevedere il quantitativo di semilavorato prodotto e quindi organizzare lo spazio interno della conservazione, incrociando il tutto con la curva previsionale del mercato.
Interessante approfondire la nota sui cambiamenti climatici, perché tutta l’intelligenza e l’organizzazione di Orogel ruota intorno a complessi algoritmi settati su stagioni e “storie” climatiche che probabilmente oggi non ci sono più. La difficoltà, quindi, è anche quella di ricalibrare i processi in funzione delle stagioni che cambiano in un modo che ancora non conosciamo bene.
«Da 20-30 anni il modello organizzativo dalla campagna di surgelazione, dal confezionamento alla vendita, è sotto una regia unica. Tenendo conto che abbiamo una programmazione di spostamento della materia prima che è precisissima e ormai si rimodula di settimana in settimana. Il tutto tenendo conto che la posizione nelle celle dipende anche dalle caratteristiche del prodotto: in pratica il posizionamento e la prossimità dei prodotti nelle celle più vicine o lontane dai reparti di confezionamento dipende dalle caratteristiche del prodotto, dalla destinazione d’uso e dalla scadenza».

Avanguardia tecnologica
Per dare un’idea della forza e della competenza informatica che serve a gestire tutto questo, basta pensare che 20 anni fa Orogel ha strutturato una software house interna che da allora ha sviluppato tutte le piattaforme in uso: da automazione logistica a Mes e quant’altro servisse.
«Compriamo l’impianto meccanico, il ferro, ma ci costruiamo noi i modelli su come gestirlo, con la nostra software house che ormai è un’azienda a sé stante e lavora anche con altri clienti. Con loro, affiancati dal nostro ufficio tecnico, sviluppiamo anche la parte elettrica ed elettronica».
«Per spostare le merci – ci informa Zino – utilizziamo fondamentalmente due tecnologie: trasloelevatori (il primo è entrato in funzione nel 1987) per la movimentazione tra diverse celle, e automotore appeso, – bilancella appesa su rotaia che muovendosi unisce tutti i punti nodali dello stabilimento, sia i reparti di produzione sia i vari punti di stoccaggio».
Questo tenendo conto che lo stabilimento di Cesena, che si sviluppa su un circuito di circa 1.800 metri, vive di tre comparti principali collegati da passaggi sopraelevati che corrono sopra due vie pubbliche di scorrimento.

Hardware e software collaborano per ottimizzare gli spostamenti della merce all’interno dei magazzini e rendere il “sistema magazzino” più flessibile.
In continua evoluzione e nuove competenze
«Per i nuovi reparti stiamo guardando con interesse agli AGV, ma non li utilizziamo ancora per una serie di motivi pratici: abbiamo parti di stabilimenti datate 30-40 anni fa, con spazi che in alcuni punti sono troppo ristretti e gli AGV non possono essere adottati in maniera efficiente».
«Le competenze che ricerchiamo sono cambiate dal momento in cui la tecnologia si è imposta in tutti i settori: oggi abbiamo uno scenario in produzione che è lontano da quello che era. Oggi si è sempre di più alla ricerca di personale che abbia per formazione scolastica, competenze e un profilo più tecnico».
Curioso il racconto che descrive i cambiamenti dei processi: «30 anni fa gli spinaci venivano selezionati da gruppi di donne che all’ingresso dell’aziende li dividevano per qualità e destinazione. Oggi lo stesso lavoro viene svolto da un sistema automatico di computer vision con raggi laser a rifrazione che in piena stagione lavora su 4 linee -ognuna delle quali processa circa 8 tonnellate di spinacio all’ora. Siamo stati tra i primi a implementare questa tecnologia: l’abbiamo importata nel 1997 dagli Stati Uniti dove veniva utilizzata per le foglie di tabacco», sottolinea Zino con un certo orgoglio.
Tecnologia che si trasforma in tracciabilità e sicurezza alimentare: «tutte le nostre macchine sono connesse per trasmettere dati di processamento, non solo per monitorare i ritmi di produzione e calcolare i costi, ma anche per completare la carta di identità del prodotto. Dal codice lotto arriviamo infatti all’appezzamento di raccolta». È sintomatico, perché evidenzia come il magazzino e le tecnologie si siano ormai espanse sia a monte sia a valle. Rappresenta il centro di smistamento e di raccolta delle informazioni che vanno dal produttore al consumatore e viceversa; e se questo si riesce a fare in una produzione a “basso” valore aggiunto come quella primaria acquista ancora più senso.
La tracciabilità è uno dei temi chiave della “rivoluzione” tecnologica che stiamo vivendo e che sicuramente continueremo a seguire come INTRALOGISTICA ITALIA anche in fiera. In questo senso, infatti, non esiste ancora una killer application, esistono tante soluzioni diverse che si stanno sperimentando sul mercato, a partire da quelle selezionate per Expo Milano da Cisco e Barilla nel 2015. Dalla blockchain in poi, infatti, non si è ancora capito come realizzare davvero la tracciabilità senza trasformare gli agricoltori in data entry, tenendo anche conto che l’uso di uno strumento di monitoraggio “terzo”, cioè non modificabile, spesso spaventa anche gli stessi produttori (ma questa è un’altra storia).
Energia e sostenibilità
In una catena così energivora, lavorare sull’efficienza dell’edificio e dell’impiantistica è di primaria importanza. Prima di tutto – ci spiega Zino – si è fatto un importante lavoro sulla selezione dei materiali in grado di garantire sicurezza e coibentazione, poi c’è la progettazione degli stabilimenti e dei processi.
Anche in questo ambito l’intelligenza del sistema è un fattore chiave: certo ci sono scelte di hardware che riguardano il fluido frigorifero (in questo caso l’ammoniaca), i compressori; ma il fattore chiave in questo caso è stato costruire una “smart grid del freddo”. Un sistema che stabilisce quando accendere i compressori e quali (e anche con quale energia alimentarli) tenendo conto che c’è una rete, coordinata, composta da 50-60 compressori da 400-500 kilowatt l’uno.
Bisogna scegliere quanto freddo produrre anche in funzione della materia prima da lavorare: un conto è surgelare il delicato prezzemolo, altro la più resistente patata e sincronizzare le azioni in modo da evitare sprechi.
C’è poi la questione del recupero dell’energia: il calore dei frigoriferi e dei compressori viene canalizzato per riscaldare l’acqua utilizzata nei cicli di sbrinamento delle celle o per riscaldarne il pavimento, per creare una barriera che eviti la propagazione del freddo verso la falda. Insomma tutta una serie di piccole grandi accortezze che fanno la differenza e che hanno fatto in modo che: «l’ultima cella di Orogel consumi 2,5w al metro cubo contro il parametro di riferimento che la letteratura scientifica identifica in 8,5w. Un risultato straordinario che è stato ottenuto grazie a un’ottima strategia e all’utilizzo delle migliori tecnologie sul mercato».

La centrale elettrica interna, uno dei fiori all’occhiello dello stabilimento.
L’intralogistica è un fattore abilitante, risolve problemi e crea le condizioni perché si realizzino i processi, i modelli produttivi e quelli di business di imprenditori e industriali di tutto il mondo. Rappresenta inoltre il punto di caduta di moltissime tecnologie che attraverso attenti processi di technology transfer sono riadattate e utilizzate all’interno dei nostri magazzini.
Questo blog, lanciato e curato da INTRALOGISTICA ITALIA, si pone come il luogo dove questi due aspetti si ritrovano. Analizzeremo l’evoluzione dei settori a cui le aziende provider offrono prodotti e soluzioni di nuova generazione. Lo faremo scandagliando le nuove tecnologie cercando di capire come i singoli provider le stanno declinando nell’ottica di offrire un servizio sempre migliore ai propri clienti.