Il lavoro che c’è e le professionalità che mancano: il caso dell’intralogistica

Il lavoro che c'è e le professionalità che mancano:
il caso dell'intralogistica

INTRALOGISTICA ITALIA si pone come luogo dove scoprire le nuove soluzioni tecnologiche e organizzative per i magazzini. Automaticamente però diventa anche il luogo dove si possono percepire le nuove tendenze e scoprire dove sta andando il mondo del lavoro. Un punto di riferimento per capire quali sono le competenze più richieste.

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Da sempre le fiere sono il luogo dove si mettono in mostra le nuove tecnologie declinate su specifici settori, alla gestione e all’uso di queste nuove tecnologie corrispondono però delle competenze e un know how più o meno presente o reperibile sul mercato del lavoro.

Un tema importante per un Paese a trazione manifatturiera come l’Italia, con una spina dorsale formata da PMI e relativamente poche grandi imprese, con una grande capacità di formare cervelli, ma una scarsa attrattività. Un Paese con un tasso di natalità sconfortante e, che dalle testimonianze che abbiamo raccolto, presenta un processo formativo costruito più sulle aspirazioni di presunte élite, che sulle vere necessità del mondo del lavoro.

Un tema chiave quello della formazione e del lavoro per noi di INTRALOGISTICA ITALIA che, attraverso i nostri incontri in fiera e attraverso le nostre partnership, desideriamo approfondire.

La questione è davvero centrale per il Paese, e lo porteremo come uno dei pillar dell’edizione 2025. 

Lo stato dell'arte: mancano lavoratori qualificati

La prima evidenza è che in questo momento storico mancano candidati in tutti i settori; il bollettino del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e ANPAL pubblicato il 16 febbraio 2023 mostra una crescita del mismatch tra domanda e offerta di lavoro che riguarda il 46,2% dei profili ricercati e un valore superiore di circa 6 punti percentuale rispetto a un anno fa. È questo il leitmotiv che accompagna tutti gli interventi dei nostri interlocutori, «sia quantitativamente sia in termini di skill – evidenzia Michele Savani, Corporate Business Development Director di GiGroup –  abbiamo realizzato una survey nel 2022 sulla parità di genere e sull’inclusione Women4 e stimiamo che nei prossimi 4 anni fino al 2026 il mercato italiano genererà un fabbisogno di 4-4,5 milioni di lavoratori per normali dinamiche di replacement o crescita del business aziendale.

Michele Savani | GiGroup

L’occupazione femminile in Italia è ferma al 53% nel complesso del mercato e rappresenta solo il 30,8% nel settore logistico: ancora percepito, erroneamente, come gravoso sotto il profilo della fatica fisica, mentre sappiamo che per effetto dell’adozione di sistemi di automazione sta tendenzialmente perdendo questa caratteristica».

«Tornando alla logistica – prosegue Savani – mancano almeno 200mila lavoratori, di cui non meno di 20mila sono autisti di mezzi pesanti. Tenete conto però che già oggi siamo in una situazione in cui già il 46-47% della domanda non viene coperta.» «il numero delle posizioni aperte e chiuse ha un delta di quasi il 50%. È una situazione problematica se pensiamo che si innesta su uno scenario demografico particolarmente preoccupante. Non riusciremo a coprire i fabbisogni ed è un trend importante che si incrocia con l’inserimento dell’automazione in azienda. Il costo delle tecnologie si sta abbassando mentre quello del lavoro sta crescendo, anche per la carenza di lavoratori…»

«Se vogliamo parlare di logistica e digitalizzazione posso anticipare che se a livello mondiale vale 10 trilioni di dollari manca già oggi di 1 milione di lavoratori. E il grande missmatch riguarda per esempio gli ITS (Istituti Tecnologici Superiori – post diploma) che forniscono 8-10mila diplomati ogni anno contro gli 800mila tedeschi. Questo dato mostra l’enorme carenza strutturale del sistema.»

Trend Demografici

Lo stato dell'arte: mancano lavoratori qualificati

L’Istituto Trasporti e Logistica, fondazione di regione Emilia-Romagna e di altri enti pubblici locali della regione, tra cui i comuni di Piacenza, Bologna e Ravenna, 5 università (Unimore, Uniparma, Unibologna, Politecnico di Milano e Università Cattolica), è tra i soci fondatori dell’ITS – Istituto Tecnologico Superiore per la Logistica Sostenibile di Piacenza. 

«La nostra prospettiva non è solo regionale – ci spiega Andrea Bardi, General Manager di ITL – perché il 70% dei nostri progetti ha un orizzonte almeno europeo. Anche se immettiamo sul mercato figure intermedie che ben si prestano alle PMI della nostra regione, abbiamo un tasso di occupazione del 90% nei primi 3 mesi, anche se negli ultimi anni i nostri studenti – 120 nel ciclo dei 2 anni di corso ITS – sono già collocati prima della chiusura del corso».

Andrea Bardi - ITL Istituto Trasporti e Logistica

«La logistica, per quanto sia un settore in grandissima trasformazione ha dentro ancora molto capitale umano, c’è molto, direi, paradossalmente, “troppo” lavoro. Dal punto di visto organizzativo se guardiamo il sistema produttivo regionale possiamo dire che se il trasporto è gestito in outsourcing, il magazzino è quasi sempre gestito in house e spesso non si terziarizza neanche l’handling. Ed è proprio in queste realtà, dove si “tengono” tutto in casa, che troviamo le punte più avanzate di innovazione/automazione e non sempre dipende molto dall’elemento dimensionale, a fare la differenza infatti è la spinta del management al controllo del prodotto finito, del suo confezionamento e del processo di spedizione. Ed è significativo come nelle scelte di outsourcing logistico il driver principale sia il risparmio, la cost reduction più che la ricerca di integrazione, la possibilità di lavorare su nuovi business o la ricerca di efficienza nei termini di miglior servizio al cliente. Guidano ancora logiche tradizionali anche perché la logistica, funzionalmente, rimane sotto l’ala dell’ufficio acquisti.»

Tutto questo per dare l’idea di un settore che, sebbene sia già molto cambiato rappresenta ancora un Oceano Blu (in questo non si può non fare riferimento alla testimonianza di Maurizio Traversa, CEO di Eurofork: https://bit.ly/3FDju8p) dove riprendendo un commento di Bardi: «c’è un gran bisogno di una nuova cultura e di nuove professionalità a tutti livelli, executive, tecniche e gestionali, anche perché qualificare i processi è imperativo per la quantità e qualità delle operazioni» (e quindi per offrire il miglior servizio possibile al cliente).

Come cambia il mondo del lavoro

«Sono cambiate le caratteristiche delle persone che cerchiamo – ci racconta nella sua testimonianza Valentino Soldan, Head of Logistics di Benetton Group – non ci sono più lavori fisici da fare, non ci sono più operazioni ripetitive da svolgere, stiamo andando verso attività dove serve la capacità di autogestione delle persone, capacità di combinare il lotto che si ha davanti con le operazioni di contorno e con il giusto packaging. La parte faticosa viene fatta dalla macchina e quella più evoluta è fatta dai lavoratori. I nostri magazzini così come gli impianti, prevedono ambienti confortevoli, puliti e ordinati. Inoltre, per quanto riguarda le attività di magazzino sono molto semplici da spiegare e la curva di apprendimento è bassissima, ragazzi giovani comprendono il ciclo perfettamente in 3-4 ore. Per la manutenzione poi non abbiamo più bisogno di meccanici, ma di meccatronici che devono conoscere l’elettronica, il 70% delle problematiche infatti riguardano il software o l’elettronica

Valentino Soldan - Head of Logistics, Benetton

«Abbiamo fatto una recente survey tra le aziende aderenti all’ITS di Piacenza – continua Bardi – che ci serve per ricalibrare i corsi anno dopo anno. Il data management inizia ad essere una competenze richiesta soprattutto dalle aziende più strutturate che ricercano data scientist in grado di elaborare dati per lavorare per logica di ottimizzazione e integrazione delle nuove tecnologie

«Non è un caso, infatti, se nei nostri corsi di Piacenza su logistica distributiva e di Bologna sul 4.0 abbiamo spinto molto sull’argomento dati. Proprio come su digitalizzazione, 4.0 e automazione, sono “materie” a cui dobbiamo dedicare sempre più ore. E dobbiamo dividerci per dare formazione sulle tecnologie già in uso (software di ogni tipo, tms, wms e vari strumenti per l’ottimizzazione del magazzino) e quelle più di frontiera come l’automazione collaborativa che passa da robot a cobot e amr, temi davvero in crescita anche per l’enorme espansione dell’e-commerce che rappresenta il principale driver di settore.»

I trend dell'Automazione

L'importante è saper gestire e organizzare le informazioni

«Un dato significativo che emerge dalla nostra ricerca, che ha coinvolto 50 aziende con un mix equilibrato di realtà sopra e sotto i 10 milioni di Euro, è come le aziende più strutturate abbiano la forza e la voglia di attrarre risorse più verticali, più specificatamente preparate con competenze precise (tipo big data e competenze tecniche hard legate al digitale) mentre le PMI anche per vocazione richiedono saperi più orizzontali, più trasversali, legati al problem solving, al team working

«Un aspetto interessante è che la tensione verso i dati si vede anche sul magazzino inteso come edificio, l’efficientamento energetico degli edifici è infatti prioritario e ha una ricaduta sulle competenze interne, perché la gestione dello stabile e la scelta del mix energetico e la sua organizzazione sono settori in cui il digitale entra in maniera importante così come su controllo e monitoraggio. Tenete conto che uno slancio innovativo simile non c’è sul tema trasporti, automazione e dati stanno radicalmente cambiando il magazzino, ma non stanno invece impattando sulle modalità di trasporto, dove ci sarebbe molto da fare.

Si vede nella GDO, nell’e-commerce locker, nel click&collect, nel delivery point tutti concentrati su come risolvere il problema dell’ultimo miglio, non tanto per una questione di costi, ma proprio perché non ci sono risorse sufficienti per rispondere alla domanda.

L'e-commerce: una rivoluzione mancata, per ora

E anche dal punto di vista delle competenze si apre un mondo. L’e-commerce trasforma le piattaforme distributive, le centralizza e le fa evolvere portando automazione, ma contemporaneamente trasforma il modello di gestione della merce verso il consumatore prevedendo polmoni periferici magari automatizzati che sono appunto i locker, esperienza che vale anche per il b2b dove si sperimentano per esempio cargo biker per risolvere il problema delle città, dove il furgone tradizionale in prospettiva non potrà neanche più entrare.»

Però è tutto un mondo che prima di essere realizzato deve essere pensato, progettato e gestito, perché interno ed esterno del magazzino ormai devono essere rappresentati come un unicum, non si possono più vedere come due mondi separati.Proof of delivery e tutti gli aspetti legati alla sicurezza del dato diventano pervasivi, le informazioni e gli oggetti sono legati intrinsecamente e si seguono da quando si estraggono le materie prime a quando arrivano nelle mani del consumatore, fino allo smaltimento del prodotto. Questo per dire che sarà sempre più difficile costruire compartimenti stagni tra i diversi ambiti operativi e che il dentro e il fuori del “magazzino” saranno sempre più connessi.

«E-commerce e integrazione on e off line – conclude Bardi – è tale per cui la complessità aumenterà in modo esponenziale, canali e logistiche non possono più essere separati e questa rappresenta una grande sfida anche per il sistema formativo educativo».

Il fenomeno dei NEET

Integrazione di competenze e tecnologie, in una parola: interoperabilità

Sembra essere d’accordo anche Marcello Pellicciari, Professore Ordinario del Dipartimento di Scienze e Metodi dell’Ingegneria di Unimore – secondo il quale: «L’innovazione corre più veloce di noi, la prima competenza che dobbiamo trasmettere è quella di imparare a imparare perché gli scenari tecnologici sono in continua evoluzione. E di fronte a questi scenari in continuo movimento bisogna essere flessibili».

«Al di là delle singole tecnologie e della volontà delle aziende che effettivamente richiedono formazione molto verticale – è molto più importante avere un approccio basato sul concetto di digitalizzazione che non influisce sull’aspetto tecnologico implementativo, ma cambia in maniera radicale il modello di business.

Unendo robotica e digitalizzazione – per esempio – si possono concepire modelli di business che prima erano impensabili, il canone quindi non deve essere quello di migliorare le performance, ma capire e far vedere come queste tecnologie possono trasformare completamente i processi e il business.»

Le PMI tendono a essere autoreferenziali e a pensare di non avere bisogno di reskilling e up skilling in realtà questi rappresentano l’opportunità di amplificare gli effetti di alcune tecnologie che devono essere implementate progressivamente; è un approccio di sistema fondamentale. «Le aziende chiedono corsi specifici, per esempio, su realtà aumentata, – continua Pellicciari – però spesso non riflettono abbastanza sulla vera portata di questa nuova ondata tecnologica e sulle opportunità che l’integrazione di queste nuove tecnologie possono dischiudere».

«Il punto vero, per concludere, è la connessione, se manca un vero tessuto connettivo digitale che permetta la comunicazione all’intera value chain tutte queste tecnologie sono limitate. In contro tendenza bisogna creare delle condizioni in cui i dati possano essere comunque scambiati e riutilizzati su diverse aree sull’intera value chain a partire dalla supply chain dopo di che, una volta che i dati e le informazioni sono disponibili, è possibile usare IA, schedulatori in tempo reale, digital twin efficaci, simulazione e quant’altro».

«Le competenze ci sono, ma bisogna utilizzarle bene, non per la loro profondità tecnologica, ma per le potenzialità che hanno di connettersi tra loro e alimentarsi esponenzialmente». Più che altro, sembra una questione di vision e di capacità di immaginarsi processi e prodotti diversi, è una grande opportunità che la creatività e il dinamismo dell’imprenditoria italiana devono sfruttare. 

La voce dell'università e la prossima rivoluzione industriale

«Come Unimore abbiamo presentato una ricerca che indaga i profili che saranno ricercati nella nostra regione nei prossimi 3-5 anni e i risultati sono molto definiti – a  parlare è Massimo Bertolini Professore Ordinario del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” di Unimore – dal nostro punto di osservazione emerge che le PMI al 70% non cercano profili generici, bensì essenzialmente ingegneri meccanici in grado di passare dal controllo di processo, alla logistica interna e alla ricerca e sviluppo, la grande impresa invece ricerca profili molto più verticali e specifici a seconda della tipologia di industria, ma in questo momento il profilo più richiesto è quello dell’ingegnere capace di elettrificare oggetti meccanici e di sostituire oliodinamica con elettrificazione.

«In generale – continua Bertolini – non ritengo che ci sia una richiesta di professionalità diverse rispetto a quelle del passato, soltanto che oggi le chiamiamo in maniera diversa, in sostanza c’è bisogno di persone che siano in grado di analizzare i dati e le informazioni.»

Massimo Bertolini - Dipartimento di Ingegneria "Enzo Ferrari" - UNIMORE

Quello che certamente è cambiato è la propensione dell’azienda, che non ha più tempo e voglia di formare le persone una volta assunte. Tutte le imprese fanno molta fatica a trovare persone in grado di lavorare sull’automazione industriale, non in generale, ma nei specifici settori di adozione. Non si trova inoltre chi progetta macchine e impianti con una visione verticale sulla logistica.»

Nell’intralogistica sta crescendo il mondo della simulazione – il digital twin per la preprogettazione del sistema e gli algoritmi di funzionamento. Anche qui però siamo di fronte a un enorme problema culturale. Lo strumento non viene colto per quelle che sono le sue vere potenzialità, anche operative nella gestione quotidiana dell’impianto, ma viene utilizzato come strumento di marketing».

Riassumendo un po’ la situazione, lo scenario potrebbe destare qualche preoccupazione, non solo per l’evidente limite del sistema di non riuscire a “produrre” abbastanza “tecnici”, ma, almeno in parte sembra mancare anche la visione, quella capacità di capire come la rivoluzione digitale sia soltanto all’inizi e sia qui non per cambiare le cose in termini quantitativi, garantendoci l’ottimizzazione degli input, ma per stravolgere le modalità e i processi anche qualitativamente.

 

Una grande trasformazione che INTRALOGISTICA ITALIA, quale fiera di riferimento in Italia per la gestione del magazzino, non può non seguire e che sarà certamente al centro dell’edizione del 2025.

L’intralogistica è un fattore abilitante, risolve problemi e crea le condizioni perché si realizzino i processi, i modelli produttivi e quelli di business di imprenditori e industriali di tutto il mondo. Rappresenta inoltre il punto di caduta di moltissime tecnologie che attraverso attenti processi di technology transfer sono riadattate e utilizzate all’interno dei nostri magazzini.

Questo blog, lanciato e curato da INTRALOGISTICA ITALIA, si pone come il luogo dove questi due aspetti si ritrovano. Analizzeremo l’evoluzione dei settori a cui le aziende provider offrono prodotti e soluzioni di nuova generazione. Lo faremo scandagliando le nuove tecnologie cercando di capire come i singoli provider le stanno declinando nell’ottica di offrire un servizio sempre migliore ai propri clienti.

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